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Pinar Yolaçan

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Pinar Yolaçan è un’artista turca, nata nel 1981 e residente a New York.

Le sue serie di fotografie, Perishables (2005-2007), Maria (2008-2010) e Mother Goddess (2011-2012) sono complesse indagini sulla figura della donna, straordinarie per più di un motivo.

In Perishables, Pinar Yolaçan fotografa alcune matrone inglesi su sfondo bianco. I loro volti severi, arcigni e orgogliosi sono diretti discendenti del colonialismo, della grandezza dell’Impero. Ma, in contrasto con queste facce talvolta dure e altezzose, ecco che l’artista opera un’inversione scioccante: le anziane signore sono infatti vestite di carne animale.

Viscere, budella, nervi, trippe, organi interni sono stati aperti, ripuliti e cuciti in fogge sontuose, abbinati ai velluti e alle sete, per ricreare nella commistione di organico e tessile lo stile barocco della moda femminile coloniale.

In questo modo si opera l’inversione di cui parlavamo: così come gli antropologi dell’800 scattavano fotografie ai “primitivi” delle colonie, ecco che ora sono proprio queste anziane e nobili signore, reliquie di un Impero in rovina, ad essere sottomesse al freddo occhio della macchina fotografica; così esposte, grazie alla carne che le ricopre, sembrano al tempo stesso vestite e nude, e tutta la loro affettata finezza scompare nella brutale realtà del corpo e del cibo. Qualsiasi sia la cultura che prendiamo ad alibi, pare dire Yolaçan, siamo e restiamo primitivi, e le vesti dietro cui nascondiamo la nostra nudità sono destinate a deperire, marcire, passare (da cui il titolo della serie).

Nella serie Maria, Yolaçan continua questo discorso, mostrando però l’altra faccia della medaglia: ancora una volta rivestite di interiora animali, le sue modelle sono ora donne afro-brasiliane che vivono nell’isola di Itaparica, uno dei porti tristemente famosi per il commercio di schiavi in epoca coloniale.

Yolaçan crea gli abiti su misura, prestando particolare attenzione alla fisionomia della sua modella, e integrando in maniera talvolta quasi impercettibile i tessuti del vestito con la placenta e gli altri organi animali acquistati al mercato.

Questa serie, a marcare la specularità e complementarietà con la precedente, mostra i soggetti su sfondo nero: ancora una volta, negli occhi delle donne ritratte, traspaiono tutta la forza e l’orgoglio di un’appartenenza culturale.

Quello che è davvero sensazionale è il modo in cui i vestiti di carne di Pinar Yolaçan sembrano smascherare la finzione in un verso e nell’altro: in Perishables riuscivano a far crollare la maschera della “cultura”; in Maria è il contrario – la cultura emerge attraverso gli strati di polpa cruda. Le fotografie ci mostrano l’umanità di un popolo storicamente sfruttato e mercificato, trattato quindi come carne da mercato.

Nella sua ultima serie di fotografie, intitolata Mother Goddess, Yolaçan è tornata nella sua Anatolia, culla di una moltitudine di civiltà, per cercare le radici della figura femminile. Così, battendo la campagna turca, ha trovato e scritturato come modelle diverse contadine dalle forme giunoniche.

Confezionando dei fantasiosi abiti per i soggetti delle sue fotografie (ma questa volta senza carne cruda!), o anche tramite un elaborato body paint, Yolaçan esplora in questa serie le forme voluttuose delle dèe ancestrali immortalate nelle sculture neolitiche della Mesopotamia.

In virtù dell’assenza di volti, qui sempre coperti o lasciati fuori campo, le foto assumono un tono sospeso, mitico, stemperato però dai colori pop e sgargianti degli sfondi.

Un’estetica che sembra a prima vista molto distante dalla quotidiana proposta di corpi asettici o anoressici oppure ricostruiti dal bisturi: eppure le fotografie di Mother Goddess racchiudono e rielaborano l’archetipo della femminilità, e incantano l’occhio per le pose statuarie che rimandano direttamente alle sculture e ai feticci di fertilità che sono fra le più antiche opere d’arte mai create dall’uomo.

Ecco il sito ufficiale di Pinar Yolaçan.



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